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武術與中國文化 - Arti marziali e cultura tradizionale cinese

L'insostenibile leggerezza della perfezione

Huang Feihong - Spiralis Mirabilis Magazine - Arti marziali e cultura tradizionale cinese e alla cultura tradizionale cinese

Pagina pubblicata in data 8 settembre 2025
Aggiornata il 9 settembre 2025

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Perfezione. Nella pellicola "L’ultimo samurai" il personaggio di Moritsugu Katsumoto, interpretato dall’attore Ken Watanabe, esprime il senso della vita con queste parole: "il fiore perfetto è una cosa rara, se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata."
[...]
Nel momento in cui Katsumoto muore, il suo sguardo cade sugli alberi di pesco in fiore, i cui petali sono portati via dal vento. Mentre esala l’ultimo respiro pronuncia le seguenti parole: "perfetti... sono tutti perfetti".
[...]
Esalando l’ultimo respiro Katsumoto comprende che la vera perfezione è un’illusione. Affermando che tutti i fiori sono perfetti, dichiara di fatto che nessuno di essi è perfetto. Comprende che la bellezza, la meraviglia che ci circonda, è negli occhi di chi guarda [...] è fondamentale accettare l’idea che possiamo tendere alla perfezione senza mai raggiungerla.

Il nostro impegno quotidiano ci permette di crescere costantemente, di migliorare, ma dobbiamo anche accettare che per quante energie e sforzi possiamo mettere nel nostro lavoro, non potremmo mai raggiungere la perfezione.

La pratica ci permette di prendere coscienza che il continuo esercizio consente semplicemente di "limare", giorno dopo giorno, le nostre imperfezioni.

L’aspirazione alla perfezione è solo in parte una cosa positiva. Il rischio è di perdere di vista una cosa molto importante. La consapevolezza che la perfezione è una chimera.

Tratto da "Una tamerice in attesa della sua primavera" pagg. 232 - 233

《卖油翁》 mài yóu wēng – L’anziano venditore di olio

Il racconto che presento in questo articolo è all’origine della frase idiomatica riportata a pagina 5 del numero 12 di Spiralis Mirabilis: 熟能生巧 shú néng shēng qiǎo.

Il racconto è contenuto in un’antica raccolta di storie dello scrittore, politico e storico 歐陽修 ōu yángxiū, vissuto durante la dinastia sòng settentrionale (1007-1072). La raccolta in questione si intitola 《歸田錄》 guītián lù ("Memorie del ritorno alla campagna").

Nel periodo storico in cui visse Ou Yangxiu il mondo della poesia era profondamente legato a una raffinata ricerca estetica. Priva però, secondo la sua visione, di un qualsiasi valore sociale.

Per opporsi a questa ricerca poetica "priva" di valori Ou Yangxiu guardò alla cultura dei grandi classici della letteratura cinese. Fu nella visione daoista del mondo che riuscì a trovare una risposta, in particolare fu nel concetto di dào e dei valori che questo rappresenta tutt’oggi che trovò la via maestra lungo la quale sviluppare una nuova visione della letteratura, talmente profonda e "rivoluzionaria" che influenzò in modo profondo le successive generazioni di letterati.

Per lui la letteratura divenne lo strumento per dare forma all’essenza del Dao e il naturale mezzo per esprimere in modo concreto i valori espressi da quest’ultimo.

IL RACCONTO DE L’ANZIANO VENDITORE D’OLIO

Un giorno, durante la dinastia Song, un alto funzionario di nome 陳堯諮 chén yáozī, il cui titolo postumo era 康肅 kāngsù, si vantava di essere un eccellente arciere, il migliore in assoluto. I suoi allievi lo lodavano continuamente:

"Maestro, la vostra abilità nel tiro con l’arco è davvero straordinaria! Come potremmo mai eguagliarvi?"

Un giorno, mentre Chen Yaozi si stava esercitando nel cortile con i suoi allievi, passò di lì un vecchio venditore di olio. Si fermò a guardare e vide Chen scoccare dieci frecce di fila, tutte perfettamente al centro del bersaglio. I discepoli applaudirono entusiasti. Chen, pieno d’orgoglio, si rivolse al vecchio e chiese:

"Allora? Che ne pensi?"

Il vecchio fece solo un lieve cenno con il capo, senza applaudire. Chen, irritato, gli chiese:

"Ehi, vecchio, tu te ne intendi di tiro con l’arco?"

"No, affatto."

"Allora pensi che io non sia bravo?"

"Tiri bene, certo. Ma si tratta solo di abilità tecnica, nulla di eccezionale."

I discepoli si infuriarono:

"Come osi parlare così del nostro maestro?! La sua arte è impareggiabile!"

Il vecchio rispose con calma:

"Giovani, non arrabbiatevi. Io non so tirare con l’arco, ma so versare olio. Guardate."

Prese una zucca vuota e la posò a terra. Poi vi appoggiò sopra una moneta di rame con un foro al centro. Con un mestolo raccolse un po’ d’olio e, con mano ferma, lo versò: un sottile filo giallo di liquido scese diritto, passando perfettamente attraverso il foro nella moneta, senza che ne cadesse neanche una goccia fuori. Dopo, disse:

"Io non ho alcun trucco. È solo questione di pratica."

Chen Yaozi, colpito e imbarazzato, capì il senso delle parole del vecchio venditore d’olio e da quel giorno smise di vantarsi, impegnandosi con ancora più umiltà nell’arte del tiro con l’arco.
Col tempo, divenne ammirato non solo per la sua abilità, ma anche per la sua umiltà e il suo carattere.

LA MORALE

Sia l’abilità di Chen Yaozi nel tiro con l’arco, sia la destrezza del vecchio nel versare l’olio derivano da una sola cosa: la pratica costante.

Per raggiunge l’eccellenza (non la perfezione come a breve illustrerò) in un qualsiasi campo è necessaria "semplicemente" praticare.
Una pratica costante e continua, condotta con attenzione e concentrazione, con presenza e consapevolezza.

In qualunque ambito della nostra vita se si pratica a lungo con l’atteggiamento appena descritto anche la tecnica più complessa diventerà qualcosa di naturale, diventerà talmente spontanea, da apparire "semplice".

PERFEZIONE O ECCELLENZA?

Quando una persona entra nel mondo delle arti marziali ha buone probabilità di confrontarsi con il concetto espresso dalla parola "perfezione". Un concetto che non è, ovviamente, appannaggio escluscivo delle arti marziali, ma che permea ogni ambito della nostra società.

Quando, ad esempio, mi confronto con i clienti o con dei potenziali clienti che guardano alla propria azienda in un’ottica di "successo", sento spesso affermare che l’ingrediente per raggiungere il successo è fare tutto a perfezione. La perfezione è vista e percepita come un pilastro su cui reggere il raggiungimento di un qualsiasi obiettivo.

Viene da chiederci: come non essere d’accordo con una persona che ricerca la perfezione nell’esecuzione di un lavoro, di un esercizio o di qualsiasi altra attività?

Io, ad esempio, non lo sono. Quando sento parlare di perfezione le domande che mi pongo, che formulo ai clienti e a qualunque altra persona che ricerca la perfezione sono diverse.

La prima. La perfezione è davvero l’unica strada per il raggiungimento di un qualsiasi obiettivo che permetta di distinguerci, di raggiungere il successo in qualsiasi nostra "impresa"?

La seconda, la perfezione è misurabile in modo analitico? In modo oggettivo? È possibile misurare in modo millimetrico un’azione umana per determinare se è stata perfetta?

Infine, ricercare la perfezione può portarci a cadere nel perfezionismo? Trasformando la ricerca della perfezione nell’inseguimento di una chimera?
Interessante a riguardo è l'articolo "Inside the Minds of the Perfectionists" apparso nel 2012 sul The Wall Street Journal.

Per la mia esperienza personale, per ciò che le ricerche psicologiche e neurosocienfiche indicano, l’aspirazione alla perfezione, se da un lato può apparire positiva, dall’altro può comportare dei rischi. In particolare può farci cadere nel rischio di perdere di vista una cosa molto importante: l’essere consapevoli che il concetto di perfezione è a tutti gli effetti una chimera.

L’inseguimento della perfezione, infatti, può trasformarci in novelli capitani Achab. Achab, ossessionato dall’idea di inseguire e uccidere la balena bianca, trascina il suo equipaggio in una missione disperata, che si conclude con la distruzione del Pequod (la baleniera di cui è al comando) e la morte dei suoi uomini. Unico a salvarsi dal disastro della Pequod sarà Ismaele, il testimone che poi sarà la voce narrante della storia. È il medesimo insegnamento che possiamo anche trarre dal racconto di Ou Yangxiu.

Balena - Spiralis Mirabilis Magazine - Arti marziali e cultura tradizionale cinese e alla cultura tradizionale cinese
La balena bianca, la chimera per eccellenza (anche se onore di cronaca nel romanzo di Melville il mitico cetaceo bianco è un capodoglio)

La pratica, condotta come descritto fino a qui, affina le nostre abilità. Se però ci porta a credere di aver raggiunto una presunta perfezione volta a conseguire fama e gloria, allora secondo la visione daoista stiamo inseguendo delle vuote illusioni (a riguardo è possibile leggere la stanza n. 22 del 道德經 dàodé jīng).

La visione daoista di cui il racconto di Ou Yangxiu è permeato stimola a cercare la perfezione nell’unità profonda di tutte le cose, nella consapevolezza che la conoscenza è dentro di noi e che il cosmo è governato da leggi universali che trascendono la mera dimensione materiale.

La pratica è il mezzo per un continuo perfezionamento spirituale, che consiste nell’unione progressiva dell’anima con l’Uno, la fonte originaria.

La pratica, quindi, è strumento per una crescita interiore e per raggiungere quella "naturalezza" che caratterizza la ricerca del Dao. Al contrario, quando la pratica è ricerca di una perfezione "materiale" può portare al "perfezionismo".

A tal proposito è molto interessante il lavoro dello psicologo Thomas S. Greenspon, che si è dedicato all’impatto del perfezionismo nella vita di tutti i giorni.

Autore di differenti libri e di molte ricerche su questo tema, nella ricerca "Making sense of error: a view of the origins and treatment of perfectionism" mette in evidenza come sia un "errore" confondere la perfezione con l’eccellenza e, quindi, quanto sia "tossica" una cultura basata sulla venerazione della perfezione.

Secondo Greenspon coltivare la perfezione è un "errore" in qualsiasi ambito della nostra vita. In particolar modo negli ambienti di lavoro dove si punta al raggiungimento di performance prive di difetti. In queste aziende si incorre spesso nel rischio di esacerbare una cultura volta alla venerazione della perfezione stessa.

La ricerca della perfezione può di fatto portare a una vera e propria "mania". Spesso, infatti, la perfezione è legata a un disagio emotivo, a disfunzioni di relazione con le altre persone, nei casi più estremi a disturbi ossessivo compulsivi della personalità. Per lui la ricerca del perfezionismo non è semplicemente il desiderio di fare del proprio meglio o di raggiungere un alto standard, ma è una convinzione emotiva profonda che solo la perfezione assoluta possa garantire l’accettazione personale.

Al contrario, la ricerca dell’eccellenza è un atteggiamento sano e funzionale, che si concentra su risultati reali, significativi e percepibili, senza ossessionarsi per la perfezione assoluta.

Volendo citare un altro personaggio della letteratura internazionale, attensione a non trasformarci in un Martin Eden, la cui ricerca della perfezione è un percorso che, seppur intrapreso con purezza e determinazione, lo conduce a una profonda alienazione e a una fine tragica.

L’eccellenza, come sostiene Thomas S. Greenspon, implica investire energie in ciò che produce valore e miglioramento concreto, senza consumarsi in una continua insoddisfazione come accade a Martin Eden. È una spinta motivazionale positiva che stimola il talento e l’impegno, senza la componente di paura e autovalutazione negativa tipica del perfezionismo.

La ricerca del 2015 condotta da Tobey Mandel, David M Dunkley e Molly Moroz, "Self-critical perfectionism and depressive and anxious symptoms over 4 years: The mediating role of daily stress reactivity", illustra come il perfezionismo sia una sorta di sindrome della personalità, che si rivela generalmente per due caratteristiche.

La prima caratteristica di una persona "vittima" dal perfezionismo è che tende a prefiggersi obiettivi molto alti, alle volte irraggiungibili. La seconda caratteristica è che la persona ossessionata dalla perfeziona critica severamente se stessa quando non riesce a raggiungere gli obiettivi che si è prefissata. In poche parole la persona perfezionista ha paura del fallimento, si preoccupa per la possibilità di commettere errori ed è motivata da un forte senso dell’obbligo e del dovere.

Lo psichiatra David Burns afferma che il perfezionismo, piuttosto che essere una ricetta per il successo, è un buon metodo per l’auto-fallimento. Nella spasmodica ricerca di evitare gli errori, i perfezionisti soffocano la loro creatività ed evitano di assumersi dei rischi. A causa del loro forte senso di auto critica rischiano in oltre di soffrire di sintomi di depressione (senso di colpa, rabbia, tristezza, bassa energia, mancanza di piacere), ansia, disperazione e così via.

La medesima tesi è sostenuta dal neuroscienzato Daniel Goleman nel suo libro "Optimal. Dimentica la perfezione, evita il burnout e vivi al tuo meglio". Noto per il lavoro svolto nel campo dell’intelligenza emotiva, il neuroscienziato sostiene che proprio lo sviluppo dell’intelligenza emotiva può permettere di raggiungere uno "stato ottimale" di equilibrio e benessere interiore che impedisce di cadere nell’ossessione della perfezione.

L’intelligenza emotiva consente di sviluppare uno stato che consente di esprimere al meglio le proprie potenzialità in ogni ambito della vita, senza aspirare a una perfezione irraggiungibile (la chimera), ma puntando invece a un benessere sostenibile e autentico (l’eccellenza).

Goleman consiglia di abbandonare l’ideale di perfezione per abbracciare un modello di vita basato sulla consapevolezza che in ogni cosa esistono delle “crepe”.

Le crepe sono la nostra consapevolezza che la pratica costante e continua non porta alla perfezione ma porta a ridurre le imperfezioni. Le crepe sono quelle attraverso le quali passa la luce, come canta Leonard Cohen nella sua canzone Anthem: "C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce."

Kintsugi - Spiralis Mirabilis Magazine - Arti marziali e cultura tradizionale cinese e alla cultura tradizionale cinese
Un'illustrazione ispirata all'arte del kintsugi

La visione che presenta Cohen nella sua canzone è la medesima della filosofia dietro il kintsugi, l’antica arte giapponese di riparare gli oggetti rotti in ceramica con l’oro. Una filosofia che si basa su un profondo valore simbolico e di vita: accogliere, rispettare e valorizzare ciò che è rotto, danneggiato o imperfetto.

L'arte del kintsugi stimola a riconoscere che nulla è eterno, che tutto è imperfetto e incompleto e invita a trovare la bellezza nella semplicità, nell’asimmetria e nella transitorietà.

Per quel che mi riguarda per ogni artista marziale le arti marziali sono proprio quella crepa attraverso cui passa la luce e l'oro che "cuce" le fratture.

Sono il nostro kintsugi che mostra le nostre crepe, cioè la nostra trasformazione interiore, in cui le crisi e le difficoltà sono diventate e diventano opportunità evolutive e l’individuo impara a essere gentile e compassionevole con sé stesso.

Le arti marziali sono la straordinaria occasione per capire come la costante pratica permette di ridurre le imperfezioni giorno dopo giorno, senza mai però raggiungere la perfezione. Le arti marziali fanno comprendere all’artista marziale che viaggia su un binario parallello al binario della perfezione. Il binario dell’eccellenza. Due binari che per questioni di prospettiva sembrano convergere all’infinito, senza in realtà potersi mai incontrare.

Le arti marziali ci permettono di sviluppare tutti gli elementi che caratterizzano l’intelligenza emotiva e di trovare quell’equilibrio che gli psicologici citati in questo articolo auspicano per evitare di cadere vittime del perfezionismo.

La perfezione nelle arti marziali è un "ideale dinamico", non un punto fisso da raggiungere. Ogni allenamento è un passo verso un miglioramento personale, ma la vera perfezione è un cammino senza fine, perché si può sempre affinare la tecnica, la mente e lo spirito.

Prendere consapevolezza di questo non significa arrendersi, smettere di migliorare e di affinare. Anzi, al contrario, ci permette di evitare di cadere nel perfezionismo e di puntare, invece, all’eccellenza: la continua e costante opportunità di crescere e migliorarci. Che è l’atteggiamento che arricchisce e da senso alla nostra esistenza.

Ce lo ricorda Ludwig van Beethoven in una sua famosa lettera. Una lettera che scrisse durante il suo soggiorno nella città termale di Teplitz e che indirizzò a "Fräulein Emilie M. in H." (forse Amburgo) pochi giorni dopo il 17 luglio 1812.

La giovane Emilie M., una bambina (da quello che sappiamo) di circa otto-dieci anni che suonava il pianoforte, aveva ricamato un portafoglio e lo aveva inviato a Beethoven come regalo con parole di ammirazione. Benché non la conoscesse Beethoven le inviò questa lettera come risposta:

Mia cara, cara Emilie, mia cara amica!
La mia risposta alla tua lettera a me indirizzata è tardiva; molti affari e una costante malattia possono scusarmi.
Il fatto di essere qui per ristabilire la mia salute dimostra la verità delle mie scuse. Non privare Handel, Haydn e Mozart della loro corona d’alloro; appartiene a loro, non ancora a me. [...] Continua, non limitarti a praticare l’arte, ma penetra anche al suo interno; lo merita, perché solo l’arte e la scienza elevano l’uomo alla divinità. Se tu, mia cara Emilie, dovessi desiderare qualcosa, scrivimi con fiducia. Il vero artista non ha orgoglio; purtroppo vede che l’arte non ha limiti, sente oscuramente quanto è lontano dalla sua meta, anche se può essere ammirato dagli altri, piange di non aver ancora raggiunto quel punto in cui il genio migliore brilla solo davanti a lui come un sole lontano.
Forse preferirei venire da voi, dai vostri, piuttosto che da molti ricchi in cui si nasconde la povertà dell’io interiore. Se mai verrò da H., verrò da te, dalla tua; non conosco altre virtù dell’uomo se non quelle che lo rendono uno degli uomini migliori; dove le trovo, lì è la mia casa.
Se vuoi scrivermi, cara Emilie, basta che invii qui, dove passerò altre quattro settimane, o a Vienna; è lo stesso.
Pensami come tuo e come un amico della tua famiglia.
Ludwig v. Beethoven

Pratica la tua conoscenza.
實踐真知
shíjiàn zhēnzhī

Francesco Russo

NOTE SULLA TRASCRIZIONE FONETICA
Le parole in lingua cinese quando appaiono per la prima volta sono riportate in cinese tradizionale con la traslitterazione fonetica. A partire dalla seconda volta, la parola è riportata con il solo pinyin senza indicazioni degli accenti per favorire una maggiore fluidità della lettura dei testi.

BREVE PROFILO DELL'AUTORE
Francesco Russo, consulente di marketing, è specializzato in consulenze in materia di "economia della distrazione".

Nato e cresciuto a Venezia oggi vive in Riviera del Brenta. Ha praticato per molti anni kick boxing raggiungendo il grado di "cintura blu". Dopo delle brevi esperienze nel mondo del karate e del gong fu, ha iniziato a praticare Taiji Quan (太極拳tàijí quán).

Dopo alcuni anni di studio dello stile Yang (楊式yáng shì) ha scelto di studiare lo stile Chen (陳式chén shì).

Oggi studia, pratica e insegna il Taiji Quan stile Chen (陳式太極拳Chén shì tàijí quán), il Qi Gong (氣功Qì gōng) e il DaoYin (導引dǎoyǐn) nella propria scuola di arti marziali tradizionali cinesi Drago Azzurro.

Per comprendere meglio l'arte marziale del Taiji Quan (太極拳tàijí quán) si è dedicato allo studio della lingua cinese (mandarino tradizionale) e dell'arte della calligrafia.

Nel 2021 decide di dare vita alla rivista Spiralis Mirabilis, una rivista dedicata al Taiji Quan (太極拳tàijí quán), al Qi Gong (氣功Qì gōng) e alle arti marziali cinesi in generale, che fosse totalmente indipendente da qualsiasi scuola di arti marziali, con lo scopo di dare vita ad uno strumento di divulgazione della cultura delle arti marziali cinesi.

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—— 龍小五

Un solo respiro. Una sola arte marziale. Un solo mondo.
—— 龍小五

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